GRADI E TITOLI - semplice riflessione sulla contraddizione in termini

Molto spesso, troppo direi, praticanti e insegnati si fanno portavoce di affermazioni come “la pratica del vero karate non inizia dalla cintura bianca, ma dalla cintura nera”, “quando si raggiunge il 1° dan si comincia a fare karate”, “la cintura nera è l’inizio del vero cammino”, “solo con la cintura nera ci si addentra al vero karate”, “la cintura nera non è il punto di arrivo”, “la cintura nera rappresenta l’inizio della pratica vera”, “i titoli dovrebbero essere rilasciati solo quando si è raggiunta una certa maturità”, “il titolo di Maestro è il principio dello studio”, ecc. ecc.

Affermazioni di una certa rilevanza filosofico-tecnica, che però si contrappongono ad altre idee quali “la cintura serve solo a tenere su i pantaloni”, “gradi e cinture servono solo al business”, “in passato non esistevano tutti questi gradi”, “le federazioni fanno guadagno sui gradi e i diplomi”, “la cintura non rispecchia sempre la bravura di chi la indossa”, “i diplomi sono solo pezzi di carta”, “anche se si ha il certificato di Maestro non è detto che si sappia insegnare, quindi un diploma non ha alcuna validità”, ecc. ecc.

Ancora più spesso gli stessi individui, che sostengono le affermazioni di cui all’inizio, pronunciano contemporaneamente frasi della seconda tipologia, e questo è un fenomeno che dilaga a macchia d’olio in tutti gli ambiti in cui si parla di karate o arti marziali in generale creando non poca “confusione” concettuale nei lettori meno esperti, ma spesso anche tra gli stessi disquisitori. Facciamo un'analisi:

  1. benché scontato, ricordiamo che kyu e dan sono termini che indicano gradi (classi) e livelli, in svariate discipline giapponesi, rispettivamente tra i principianti e gli esperti; il 1° dan, dunque, sarebbe il primo livello di esperto o praticante professionista. Se kyu e dan indicano i livelli di esperienza, cosa significano in ambito, ad esempio, al karate? Essi indicano gli step tecnici raggiunti dal praticante, lo sviluppo della sua capacità tecnica, ossia la capacità di esprimere le caratteristiche di quella data disciplina, e in ambito al karate significa rispecchiarne i princìpi quando il praticante deve applicarlo, ciò vuol dire che egli deve dimostrare di valere un certo livello quando esegue degli esercizi (es. kata), quando combatte, quando si deve difendere (?).
  2. i titoli, ossia le licenze d’insegnamento, generalmente associati ai cosiddetti “livelli di maestria” (cioè determinati dan), invece, indicano che il praticante ha raggiunto un determinato stadio di padronanza dei suddetti princìpi tecnici tale da essere in grado di insegnarli agli altri. Se è in grado di insegnarli vuol dire che non li sa solo eseguire ma ne conosce anche le connotazioni teoriche, storiche, filosofiche, ecc, tipiche della disciplina in questione, quindi ha compiuto uno studio a latere della mera pratica su tatami, da solo o affiancato da un altro esperto, che gli ha permesso di andare oltre il fattore puramente tecnico-pratico.
  3. se si leggono le biografie dei grandi karateka del passato, si evince che generalmente ad Okinawa la prima licenza d'insegnamento veniva rilasciata al raggiungimento del quinto o del sesto livello di padronanza tecnica (godan o rokudan). Tale licenza corrispondeva al titolo di Shihan che significa appunto insegnante e quasi sempre era l'unica licenza d'insegnamento rilasciata, cioè il praticante era stato ritenuto esperto tale da poter aprire il proprio dojo ed insegnare a sua volta, e ciò non avveniva di certo a settant'anni per logici motivi di natura fisica.
  4. in passato, ad Okinawa (e in Giappone), la licenza d'insegnamento veniva rilasciata esclusivamente dal proprio Sensei (o dal Soke). Se comunque ci approcciamo con una visione più attuale, possiamo sostenere che gradi e titoli (licenze d’insegnamento) devono essere rilasciati dal proprio kancho (caposcuola), o da una commissione di maestri (dell’organizzazione) che autorizza, nel senso che certifica, che il praticante esperto è ora in grado di insegnare quella specifica disciplina secondo i canoni della propria scuola (o organizzazione) - ma le commissioni sono nate con le associazioni (di scuole) :-)
  5. ricordiamo che, sempre in passato, ad Okinawa non esistevano così tanti programmi, tempistiche (età) e regolamenti, rigidi, per ricevere un diploma... non inizialmente, ma il tutto era a "discrezione" esclusiva del maestro. Ricordiamo altresì che, ad un certo punto, per dare corpo e futuro al karate, molti maestri di Okinawa si recarono in Giappone per farsi rilasciare licenze d'insegnamento dal Dai Nippon Butoku Kai; a quel punto vennero introdotti nel karate anche i titoli Shogo (Renshi, Kyoshi, Hanshi), abbinandoli più precisamente a specifici livelli (dan). Con l'introduzione dei titoli Shogo, fino ad un certo periodo però (probabilmente fino all'ultimo decennio) si mantenne come riferimento il quinto/sesto dan per il rilascio della licenza d'insegnamento, mentre i livelli e titoli successivi venivano rilasciati per motivi burocratici di rappresentanza della scuola/associazione oltremare (settimo e ottavo dan), e motivi di anzianità e riconoscenza (nono e decimo dan); dunque lo Shihan Godan/Rokudan rimase in fondo il vero livello da raggiungere per poter insegnare.  C’è, ancora, da ricordare che i titoli sono spesso associati a determinati dan, ma non è un fattore obbligatorio, e questo ha un forte significato …! - ora ci si sconvolge (fintamente) se si vede ricevere un settimo o ottavo dan... :-)
  6. infine, e si osservano diplomi di karate del passato, una volta tradotti essi attestano il grado e/o il titolo del praticante raggiunti nel karate, e solo ove è presente la firma del maestro c’è anche scritto il nome della scuola; ciò vale a dire che si ritiene una data padronanza nell’arte marziale del karate, senza citare lo stile (propriamente detto), ma si sottolinea a fine testo che si tratta di quella specifica scuola (ie quella data linea di karate). 

Dunque, date tali premesse, apparentemente banali, potrebbero sorgere altre domande, come: perché la cintura nera è l’inizio della vera pratica? perché la cintura nera non è un punto di arrivo? dove sta l’incoerenza di un “pezzo di carta”? come mai i titoli non sono obbligatoriamente abbinati a determinati dan, ma quello che si fa è solo un processo convenzionale? è errato riconoscere una padronanza tecnica o una maestria (capacità d’insegnamento) solo in generale nella data arte marziale, senza citare lo stile (propriamente detto)? chi può realmente valutare la maturità del praticante e di quale maturità stiamo parlando? c’è differenza tra capacità tecnica pura (bravura) e conoscenza teorico-tecnica (maestria)? che differenza c’è (valore) tra un diploma rilasciato dal proprio maestro e da una federazione? ecc. ecc

Probabili risposte potrebbero, di conseguenza, essere: fino al 1° dan non fai karate (ad esempio); il 1° dan rappresenta il primo livello di praticante esperto; i diplomi li puoi anche “comprare”; gli stili non sono uguali tra loro; il karate è uno, poi vi sono vari metodi; se uno è bravo in combattimento è bravo anche a saper insegnare quelle tecniche; il Maestro ti conosce, la federazione fa soldi; la commissione è più obiettiva del tuo Maestro; ecc. ecc.

Tutto questo caos sembra una contraddizione in termini!

Ma tale contraddizione in termini chi l’ha creata, il sistema dei gradi o le stesse persone che disquisiscono in merito?